Food for People with Chromatic Deficit

This plan was born within the course of Theories of the color held by professor Roberto Casati at the University IUAV of Venice, a.a. 2007/08, by students Petar Kufner and Annalaura Tezzon. It grows from the curiosity to study and to understand how the people with chromatic deficit perceive the color in the food. (remain part of the plan is in italian language)



Elaborato presentato al corso di Teorie del Colore, Università IUAV di Venezia, docente Roberto Casati.

Questo progetto è nato nell’ambito del corso di Teorie del colore tenuto dal professor Roberto Casati all’Università IUAV di Venezia, a.a. 2007/08, da studenti Annalaura Tezzon e Petar Kufner. Nasce dalla curiosità di studiare e capire come le persone aventi deficit cromatici percepiscono il colore nel cibo.


INTRODUZIONE SUL TEMA DEL DALTONISMO

Come si legge nel libro di Stephen E. Palmer “Vision science. Photons to phenomenology” (The MIT Press Cambridge, Massachussetts, 1999), il daltonismo è il difetto per cui le persone non hanno la capacità di distinzione tra tutti i colori del “solido dei colori”. Con questo termine intendiamo il sottoinsieme dello spazio del colore visibile da una persona con capacità normali di percepirlo. Queste persone sono chiamate tricromati: questo significa che “dato un qualsiasi colore, possono eguagliarlo, ossia trovarlo uguale, ad una qualche mescolanza di altri tre.” Esistono invece diversi tipi di daltonismo. Una prima grande differenziazione può essere fatta tra dicromati e monocromati: i primi, dato un colore, possono trovarlo uguale ad una qualche mescolanza di altri due, i secondi possono eguagliare qualsiasi colore a qualche livello di intensità di un solo altro colore. All’interno della classe dei dicromati si possono distinguere tre diversi tipi di deficit. I primi due hanno caratteristiche molto simili. Si tratta dei protanopi e dei deuteranopi, cioè di persone non in grado di percepire le tinte rosse e quelle verdi, che secondo un’opinione largamente diffusa tra gli studiosi, vengono probabilmente viste come scale di grigi. Di conseguenza la loro visione del colore è limitata a diverse tonalità di blu, gialli e grigi. La differenza tra questi due tipi di dicromati sta nel punto neutro monocromatico dell’osservatore: “la specifica lunghezza d’onda in cui una luce monocromatica appare incolore, ossia grigia.” Tutti i dicromati traducono le lunghezze d’onde brevi come diverse tonalità di blu e quelle lunghe come diverse tonalità di giallo. In un punto esistente tra questi due estremi si trova una lunghezza d’onda che non è percepita né come tonalità di blu, né di giallo bensì come un grigio neutro. Per i protanopi questo punto neutro corrisponde ai 492 nanometri e per i deuteranopi ai 498 nanometri.



L’ultimo tipo di dicromatismo prende nome di tritanopia. A differenza degli altri due tipi, i tritanopi non sono in grado di esperire le tonalità blu e quelle gialle. Il risultato è che la loro gamma cromatica è composta da diverse tonalità di rosso, verde e grigio.


IL PROGETTO

L’idea di questo progetto è nata da una riflessione fatta in classe, sul fatto che alcuni particolari tipi di cibo risultano essere particolarmente sgradevoli se visti con gli occhi di una persona daltonica. Naturalmente il problema sussiste solo per persone che hanno perso la capacità tricromatica di vedere i colori nel corso della loro vita, non per persone che sono nate con questo deficit.
Per studiare la percezione dei colori nei daltonici esistono diversi software, il più accreditato dei quali sembra essere Vischeck.

Dopo aver composto un serie di immagini, rappresentanti diversi tipi di cibo abbiamo utilizzato questo software che si installa come un plug-in di Photoshop. Questo programma è un simulatore che ipotizza la visione dei colori per i dicromati alterando i canali cromatici di interesse di ciascun tipo di daltonismo.

Nelle immagini sottostanti in alto a sinistra si trova l’immagine come percepita dai tricromati. Nella prima colonna di immagini abbiamo applicato il filtro rispettivamente dei protanopi, deuteranopi e tritanopi. Nell’ultima colonna abbiamo applicato una sfocatura del 50% per verificare la scala dei colori delle singole immagini.



Dopo questo primo step ci siamo resi conto che l’applicazione del filtro a tutta l’immagine portava ad un risultato fittizio. Con questo intendiamo dire che non avendo di riferimento l’immagine dei tricromati normali, probabilmente le foto dei dicromati ci sembrerebbero plausibili. Senza il riferimento all’immagine normale, potremmo essere portati a pensare che le immagini filtrate abbiano delle dominanti cromatiche dovute allo scatto fotografico o alla composizione del piatto. Per ovviare a questo problema abbiamo fatto un secondo passaggio in cui, come si può vedere nelle immagini sottostanti abbiamo affiancato all’immagine filtrata completamente, l’immagine filtrata su due livelli: il livello di sfondo è stato lasciato come da originale mentre il cibo è stato filtrato. In questo modo ci sembra che sia più evidente l’effetto della visione dicromatica sul cibo.



L’ultimo passaggio effettuato è stato quello di selezionare i colori dominanti di alcune immagini mettendoli a confronto nei diversi tipi di daltonismo. In questa fase è importante considerare il limite dei software utilizzati: in primo luogo essendo l’immagine digitale composta da pixel, è importante tenere in considerazione che il “conta gocce” di Photoshop con cui è stato effettuato questo passaggio seleziona solo un pixel alla volta. Di conseguenza l’isolamento del colore va considerato come rappresentativo di un’area di colore della foto in questione. In secondo luogo, non vanno dimenticati i passaggi a cui l’immagine digitale è sottoposta: sensore CCD della macchina fotografica, taratura dello schermo del computer e eventualmente stampa dell’immagine.




CONSIDERAZIONI FINALI

Ci sembra di poter concludere che l’utilizzo di questi software ha un senso soprattutto per capire, da tricromati, come i dicromati percepiscono i colori. Tuttavia si tratta di un apprendimento abbastanza generico, dati i limiti delle tecnologie che comportano questi passaggi. Per verificare la correttezza di questo software bisognerebbe forse sottoporre le immagini trattate a persone che soffrono di questi deficit cromatici. A livello teorico, infatti, posto che il programma funzioni correttamente, una persona per esempio dicromatica deuteranope, dovrebbe vedere nella stessa maniera, cioè senza differenze, l’immagine non trattata e quella trattata con il filtro.

Oltretutto va considerato che l’immagine digitale vista a schermo passa per una matrice di colori RGB che è pur sempre una “rappresentazione” di un’immagine reale. Quindi, come conclude anche Palmer, un’esperienza “reale” di come i dicromati percepiscono i colori, non si potrà mai avere. Ci si può solo accontentare di fare delle ipotesi in questo senso e di studiare questo fenomeno in via generale, senza mai perdere di vista i limiti tecnologici a cui siamo sottoposti.

Più interessante a nostro parere è l’applicazione di questi software all’ambito web. In effetti, alcuni di questi software vengono utilizzati proprio con questo fine. E’ il caso, per esempio, di CodeBlind, programma che serve per selezionare delle aree di pixel nello schermo per tradurle nei vari tipi di daltonismo. In questo contesto sembra più proficua un’azione del genere, perché rimanendo sempre in una dimensione “digitale” (è una selezione da schermo, per una traduzione finalizzata ad una visione ancora nello schermo), è possibile creare interfacce e siti web che tengano conto di questi deficit cromatici. Questa eventualità ha una finalità relativa, se si pensa che, secondo alcune indagini, solo l’8% degli uomini e l’1% delle donne soffrono di una qualche forma di daltonismo (e per la tritanopia la percentuale è ancora più bassa: 0,2% degli uomini e 0,1% delle donne). Ciononostante, ci sembra molto democratico pensare di sviluppare interfacce e siti che ne tengano conto, senza contare, che per alcuni ambiti specializzati, costruire siti in questa maniera non è solo corretto ma anche utile.

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